Il punto sulle misure introdotte dalla ‘Manovrina’ nel settore giochi

Il punto sulle misure introdotte dalla ‘Manovrina’ nel settore giochi

Il punto sulle misure introdotte dalla ‘Manovrina’ nel settore giochi

In data 26.06.2017, è stato pubblicato il testo della Legge 21.06.2017 n. 96 approvata dal Parlamento ed avente ad oggetto la conversione del Decreto Legge 24.04.2017 n. 50 (“Disposizioni in materia finanziaria, iniziative  favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo”) più comunemente nota come la ‘Manovrina’.

Sono state definitivamente confermate le misure fiscali previste nel precedente decreto-legge ‘Manovrina’ ed in particolare l’aumento delle imposte sul gioco nella misura di seguito indicata:

1) la misura del prelievo erariale unico sulle AWP passa al 19% (dal 17,5%), con effetto dalla data di pubblicazione del decreto-legge (ossia dal 24 aprile 2017);
2) la misura del prelievo erariale unico sulle VLT passa al 6% (dal 5,5%), con effetto dalla data di pubblicazione del decreto-legge (ossia dal 24 aprile 2017);
3) la cosiddetta ‘tassa sulla fortuna’ sulle vincite superiori ai 500 euro realizzate tramite VLT passa al 12% (raddoppiataquindi rispetto al precedente 6%), con decorrenza dal 1° ottobre 2017.

Ulteriori interventi sui giochi sono previsti dall’art. 6, ovvero:
4) la ritenuta sulle vincite del lotto passa all’8% (dal 6% ), con decorrenza dal 1° ottobre 2017;
5) la cosiddetta ‘tassa sulla fortuna’ sulle vincite superiori ai 500 euro realizzate, anche se a distanza, tramite Win for life, Win  for Life Gold, SuperEnalotto, lotterie  nazionali  ad estrazione istantanea (es.: Gratta e Vinci, Superstar, passa al 12% (anche in questo caso, raddoppiata quindi rispetto al precedente 6%), con decorrenza dal 1° ottobre 2017.

Riduzione del numero di apparecchi

In sede di conversione, il Parlamento ha approvato altresì un emendamento che ha introdotto un ulteriore articolo al testo originario del decreto-legge ‘Manovrina’. Infatti, all’art. 6 è stato aggiunto l’art. 6bis che ha riformulato, in termini peggiorativi, la riduzione del numero di apparecchi di cui  110, comma 6, lettera a) del TULPS (le c.d. AWP) già prevista dalla Legge di Stabilità 2016 (nel dettaglio, articolo 1, comma 943, della legge 28 dicembre 2015, n. 208).

Ed infatti, la Legge di Stabilità 2016 aveva già previsto, a partire dal 1° gennaio 2017, una  riduzione  proporzionale, in misura non inferiore al 30 per cento, del numero dei nulla osta di esercizio relativi ad apparecchi attivi alla data del 31 luglio 2015, riferibili a ciascun concessionario.

La riduzione delle AWP – così come stabilita ora dall’art. 6 bis della L. 96/2017 – sarà quindi realizzata in due tappeattraverso una corrispondente riduzione dei nulla osta di messa in esercizio (c.d. ‘NOE’):

alla data del 31 dicembre 2017, il numero complessivo dei  NOE non potrà essere superiore a 345.000;

alla data del 30 aprile 2018, il  numero  complessivo  dei  NOE non potrà essere superiore a 265.000;
La norma prevede che i concessionari  procederanno entro la prima data alla riduzione di almeno il 15% del  numero di NOE attivi ad essi riferibili alla data del 31 dicembre 2016 (i.e.: AWP operative in esercizio) ed alla  riduzione ulteriore entro la seconda data in proporzione al numero dei nulla osta a ciascuno di  essi riferibili alla predetta data del 31 dicembre 2016.

Dal testo della norma, sembrerebbe che nel calcolo della prima riduzione andranno incluse solo le AWP ‘operative in esercizio’, mentre nel calcolo della seconda riduzione potranno essere incluse anche le AWP ubicate in magazzino.

Eccesso di NOE e sanzioni previste

Tuttavia, se il numero complessivo dei NOE dovesse risultare superiore  a quello indicato,  ADM procederà d’ufficio alla revoca dei NOE eccedenti, riferibili a  ciascun concessionario, secondo i criteri di proporzionalità in relazione alla distribuzione territoriale regionale, nonché sulla base della redditività degli apparecchi registrata in  ciascuna regione nei dodici mesi precedenti.

Maggiori dettagli sulle modalità operative seguite da ADM nell’applicazione dei criteri di legge saranno contenute nel decreto MEF di prossima pubblicazione (entro 31 luglio p.v.).

I  concessionari, entro i cinque giorni lavorativi successivi al ricevimento della relativa comunicazione da  parte di ADM, dovranno bloccare gli apparecchi i cui NOE siano stati revocati, avviando quindi le procedure di dismissione degli apparecchi  stessi. La violazione di tale obbligo sarà punita con la sanzione amministrativa pecuniaria pari a 10.000,00 euro per ciascun apparecchio.

In conclusione, pur trattandosi di una misura ampiamente preannunciata dal Governo, attraverso il Sottosegretario MEF con Delega ai Giochi On. Pier Paolo Baretta, è bene rilevare come nelle intenzioni del legislatore del 2015 tale misura sarebbe dovuta essere accompagnata da una complessiva riforma dell’offerta di gioco che la Conferenza Unificata Stato-Regioni-Enti Locali avrebbe dovuto emanare entro il 30.04.2016 e che, tuttavia, da troppo tempo non trova una soluzione condivisa a causa dei veti incrociati tra le varie forze politiche, nonché tra gli enti locali e il governo centrale.

Trasferimento diritti agenzie scommesse, l’ADM chiarisce

Trasferimento diritti agenzie scommesse, l’ADM chiarisce

Trasferimento diritti agenzie scommesse, l’ADM chiarisce

Nessuna nuova assegnazione del titolo autorizzatorio può essere disposta dai Monopoli fino a quando la legittimità del recesso del gestore – se contestata dal concessionario – non sarà stata accertata in sede giudiziale. È quanto emerge da una nota diffusa la scorsa settimana dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

La precisazione di Piazza Mastai si è resa necessaria a seguito del verificarsi di alcuni casi nei quali l’interruzione della raccolta delle scommesse, che aveva dato luogo al provvedimento di decadenza disposto nei confronti del concessionario, era stata in realtà causata dal recesso del gestore. Come riporta la stessa nota, tale interruzione dell’attività di raccolta dei giochi – di durata superiore al limite massimo dei 30 giorni previsto dalla convenzione di concessione – “è stata giustificata da contenziosi instaurati davanti al giudice civile aventi ad oggetto l’illegittimo esercizio del diritto di recesso da parte del gestore o l’accertamento della validità delle clausole contrattuali”.

L’Agenzia, pertanto, pur ribadendo la propria ‘estraneità’ rispetto al rapporto di natura privatistica intercorrente tra concessionario e gestore, chiarisce come eventuali pronunce giurisdizionali, anche provvisorie, che dovessero avere effetti sulla propria attività provvedimentale, comporteranno la sospensione dell’efficacia dei titoli autorizzatori oggetto del contenzioso. Con la logica conseguenza che tali diritti non potranno considerarsi ‘liberi’ fino alla corretta definizione del giudizio.

Maggiore chiarezza sull’effettivo status di tali diritti viene data dall’analisi dei singoli provvedimenti disposti dall’Agenzia. Laddove viene chiarito come “la sospensione opera limitatamente alla decadenza dei diritti, con esclusione di ogni effetto di riviviscenza dei titoli autorizzatori a suo tempo rilasciati” in favore del concessionario. Tali diritti, infatti, “devono intendersi tuttora revocati, ferma restando la possibilità di un nuovo rilascio, qualora ricorrano le condizioni previste”, ovvero, in caso di esito del giudizio favorevole al concessionario.

La concessione del Lotto monoproviding rimessa dal Consiglio di Stato alla CGE

La concessione del Lotto monoproviding rimessa dal Consiglio di Stato alla CGE

La concessione del Lotto monoproviding rimessa dal Consiglio di Stato alla CGE

Con ordinanza dell’11 maggio 2017 il Consiglio di Stato ha rimesso gli atti alla Corte di Giustizia Europea ritenendo che le questioni comunitarie, formulate in modo articolato e ben argomentato dalle società del gruppo Stanleybet siano suscettibili di rinvio alla Corte di Giustizia UE.

Le società Stanleybet International Betting LTD e Stanleybet Malta LTD non avevano infatti partecipato alla gara del Lottoperché avevano radicalmente contestato la scelta del modello monoproviding che, unitamente alle clausole immediatamente escludenti previste dalla lex specialis, rendeva a loro dire impossibile presentare la domanda di partecipazione.

Le società avevano quindi promosso ricorso al TAR Lazio che con sentenza aveva rigettato il ricorso motivando la decisione sul presupposto che il gioco del Lotto differisce notevolmente dagli altri giochi (concorsi a pronostici, videolotterie e scommesse), sia perché è l’unico gioco in cui lo Stato assume il rischio d’impresa, sia perché si caratterizza per la distinzione della fase della raccolta delle giocate, garantita da oltre 33mila ricevitorie, capillarmente diffuse su tutto il territorio nazionale, dalla fase della “gestione del servizio del gioco del Lotto automatizzato”, affidata ad un solo concessionario.

In altre parole, secondo i giudici di primo grado tali differenze giustificano ampiamente la scelta legislativa del modello monoproviding per la gestione del servizio del gioco del Lotto automatizzato, sia perché la scelta del modello multiproviding renderebbe comunque necessaria la presenza di un “superconcessionario” (o, quantomeno, la costituzione di un’apposita struttura di collegamento presso l’ADM) per coordinare le attività dei diversi concessionari del servizio e per lasciare indenne l’Amministrazione da eventuali responsabilità derivanti da inadempimenti di tali soggetti, con conseguente aggravio degli oneri per l’Erario, sia perché il modello monoproviding crea una minore competizione all’interno del mercato e, quindi, realizza una logica di governo responsabile (non competitivo) del gioco.

Le società ricorrenti hanno quindi appellato e il Consiglio di Stato ha deciso di rinviare la questione alla CGE ponendo i seguenti quesiti:

“se il diritto dell’Unione – e, in particolare, il diritto di stabilimento e la libera prestazione di servizi nonché i principi di non discriminazione, trasparenza, libertà di concorrenza, proporzionalità e coerenza – debba essere interpretato nel senso che osta ad una disciplina come quella posta dell’art. 1, comma 653, della legge di stabilità 2015 e dai relativi atti attuativi, che prevede un modello di concessionario monoproviding esclusivo in relazione al servizio del gioco del Lotto, e non già per altri giochi, concorsi pronostici e scommesse”;

 “se il diritto dell’Unione – e, in particolare, il diritto di stabilimento e la libera prestazione di servizi e la direttiva 2014/23/UE, nonché i principi di non discriminazione, trasparenza, libertà di concorrenza, proporzionalità e coerenza – debba essere interpretato nel senso che osta ad un bando di gara che prevede una base d’asta di gran lunga superiore ed ingiustificata rispetto ai requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativi, del tipo di quelli previsti dai punti 5.3, 5.4, 11, 12.4 e 15.3 del capitolati d’oneri della gara per l’assegnazione della concessione del gioco del Lotto”;

 “se il diritto dell’Unione – e, in particolare, il diritto di stabilimento e la libera prestazione di servizi nonché e la direttiva 2014/23/UE, nonché i principi di non discriminazione, trasparenza, libertà di concorrenza, proporzionalità e coerenza – deve essere interpretato nel senso che osta ad una disciplina che prevede l’imposizione di un’alternatività di fatto fra divenire assegnatari di una nuova concessione e continuare ad esercitare la libertà di prestazione dei diversi servizi di scommessa su base transfrontaliera, alternatività del tipo di quella che discende dall’art. 30 dello Schema di Convenzione, così che la decisione di partecipare alla gara per l’attribuzione della nuova concessione comporterebbe la rinunzia all’attività transfrontaliera, nonostante la legittimità di quest’ultima attività sia stata riconosciuta più volte dalla Corte di Giustizia”.

Non resta quindi che attendere la fissazione dell’udienza da parte dei giudici comunitari.

Tar Milano accoglie ricorso contro Comune Monza

Tar Milano accoglie ricorso contro Comune Monza

Tar Milano accoglie ricorso contro Comune Monza

Con la recente ordinanza n. 01102/2016 emessa il 9 settembre u.s. dal Tar Lombardia – Milano, sezione I, si aprono nuovi scenari per le aziende del settore degli apparecchi con vincita in denaro art. 110 comma 6 del TULPS operanti nel territorio della regione Lombardia.

Il Tar lombardo ha infatti accolto la richiesta di sospensiva di un esercente destinatario di un provvedimento del Comune di Monza che gli aveva intimato immediata cessazione dell’attività di gestione degli apparecchi per il gioco d’azzardo lecito mediante il distacco della rete elettrica degli stessi e la loro dismissione.

Il provvedimento del comune si fondava sull’applicazione del c.d. distanziometro vigente nella regione Lombardia dal 2013 che, in virtù dal combinato disposto della Legge Regionale n. 8/2013 successivamente modificata dalla Legge n. 11/2015, comporta il divieto di nuove installazioni di apparecchi entro la distanza di 500mt dai luoghi sensibili.

Tali sono, secondo la determinazione della Giunta Regionale del 24 gennaio 2014 – n. X/1274, gli: “1) istituti scolastici di ogni ordine e grado; 2) i luoghi di culto; 3) gli impianti sportivi; 4) le strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o sociosanitario; 5) le strutture ricettive per categorie protette; 6) i luoghi di aggregazione giovanile; 7) gli oratori”.

Va rammentato che la legge equipara al concetto di nuova installazione anche le ipotesi di a) il rinnovo del contratto stipulato tra esercente e concessionario per l’utilizzo degli apparecchi; b) la stipulazione di un nuovo contratto, anche con un differente concessionario, nel caso di rescissione o risoluzione del contratto in essere; c) l’installazione dell’apparecchio in altro locale in caso di trasferimento della sede dell’attività”.

Proprio in relazione a tale ultima ipotesi (la lett. c), il comune ha sanzionato l’esercente che aveva svolto dei lavori di ristrutturazione dei locali dopo l’entrata in vigore della normativa regionale variando la particella catastale ma lasciando però inalterato il numero civico di accesso dei locali.

A parere del Comune, tale variazione comportava comunque un trasferimento di sede dell’attività e quindi concretizzava una nuova installazione degli apparecchi ricadendo nella violazione del divieto posto dalla normativa regionale.

A questo proposito, è stato enfatizzato in sede di ricorso che la variazione catastale dei locali non ha avuto alcun impatto sulla continuità del collegamento alla rete degli apparecchi prima, durante e dopo i lavori di ristrutturazione. Ciò a smentire il fatto che vi era stato un trasferimento di sede degli apparecchi.

Il TAR, seppure in sede cautelare, ha affermato un principio significativo per i contenziosi generati dall’applicazione del distanziometro. Il collegio ha infatti motivato l’accoglimento della sospensiva sostenendo che la normativa regionale deve essere interpretata in senso restrittivo, in quanto limitativa dell’iniziativa economica privata aggiungendo che per trasferimento di sede pare doversi intendere un vero e proprio mutamento di indirizzo civico.

Queste motivazioni, peraltro totalmente condivisibili e di buon senso, giovano agli operatori del settore per almeno due motivi.

Il primo è connesso al ripristino parziale della fisiologica operatività delle dinamiche di mercato e il secondo invece alla concreta e futura esperibilità di azioni a tutela degli operatori della filiera degli apparecchi.

Quanto al primo motivo, a mio avviso la pronunzia del Tar Lombardia ha un effetto significativo da un punto di vista pratico per gli operatori. Infatti, il monito che viene lanciato dai giudici è che da ora in poi la norma va interpretata in senso restrittivo perché limita l’iniziativa economica privata tra cui una delle concrete espressioni vi è quella del trasferimento dell’attività imprenditoriale (per esempio l’esercizio commerciale presso cui sono installati gli apparecchi oppure la società di gestione degli apparecchi).

Se quindi il trasferimento dell’attività non comporta la discontinuità del collegamento degli apparecchi nell’esercizio e se non ricorrono ipotesi di trasferimento dei locali, di rinnovo dei contratti con il concessionario o di sottoscrizione di un nuovo contratto (nell’atto di trasferimento per esempio può prevedersi un subentro integrale nei contratti in essere senza necessità di rinnovare o sottoscrivere nuovi accordi) è illegittimo il diniego del comune al rilascio delle licenze in favore dell’acquirente.

Quanto al secondo motivo, siamo in presenza di una pronunzia formale di un’autorità giudiziaria che afferma esplicitamente e per la prima volta un giudizio di censura dei contenuti della normativa regionale e del perverso meccanismo del distanziometro.

Secondo il collegio la norma limita la libertà di inizia economica privata rafforzando ulteriormente le ragioni di un esposto all’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (AGCM) unitamente ai profili di congelamento delle quote di mercato degli operatori determinato dal divieto alla sostituzione degli apparecchi ed alla sottoscrizione di nuovi accordi tra operatori nel territorio.

L’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato è competente ai sensi della L. 287/90 in materia di “normative nazionali e locali in contrasto con le regole di concorrenza, attraverso segnalazioni e pareri per stimolare Parlamento, Governo, Regioni e, in generale, la pubblica amministrazione, affinché orientino le proprie decisioni ai principi della libera concorrenza”.

L’Autorità è anche legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti e i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato (Art. 21 bis della legge n. 287/90 introdotto con l’art. 35 del decreto-legge 201/2011 convertito, con modifiche, dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214).

Analoga iniziativa potrebbe intrapresa sotto la forma di reclamo davanti la Commissione Europea (Direzione Generale Competition) da operatori comunitari ai quali è impedito l’accesso nel territorio lombardo e ciò ai fini dell’apertura di una procedura di infrazione.

Nell’attesa che la Conferenza Unificata Stato- Regioni – Enti locali trovi finalmente l’accordo per il riordino dell’offerta dei giochi sul territorio questa pronunzia, sia pure emessa in una fase cautelare e quindi ancora provvisoria, può costituire un primo argine per ricondurre ad un giusto perimetro applicativo le normative locali che da un lato si sono dimostrate, alla prova dei fatti, del tutto inefficaci rispetto alla prevenzione del GAP e dall’altro hanno finito per concentrarsi solo sul settore degli apparecchi ingessando le dinamiche di mercato in un momento storico già terribilmente complesso per gli operatori.

[articolo pubblicato su Jamma.it]

E dei 500 milioni della Stabilità 2015?

E dei 500 milioni della Stabilità 2015?

E dei 500 milioni della Stabilità 2015?

Le disposizioni della Legge di Stabilità 2015 ed in particolare il comma 649 dell’art. 1 della L. 190/2014 sono tornate nuovamente di attualità per gli operatori del settore degli apparecchi con vincita in denaro. L’art. 1 comma 649 è probabilmente la norma più conosciuta dagli operatori del settore e la cui interpretazione ha prodotto ampie e diffuse contestazioni davanti decine di giudici delle più disparate giurisdizioni e dagli esiti a volte sorprendenti.

Il comma 649 nella sua formulazione originaria ha stabilito in 500 milioni di euro su base annua la riduzione, a decorrere dall’anno 2015, dei compensi della filiera degli apparecchi.

Alla data di aprile 2016, da articoli di stampa che riportavano le dichiarazioni dei vertici dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli è emerso che dei 500 milioni previsti dalla norma sono stati incassati complessivamente 340 milioni circa il 68%.

È cronaca delle recenti settimane che le polemiche tra gli operatori hanno conosciuto una reviviscenza a seguito del ricevimento da parte di gestori ed esercenti delle diffide ad adempiere dei concessionari che li invitano a versare la differenza complessivamente pari a 160 milioni di euro minacciando azioni legali per il recupero di tali importi.

Per non annoiare il lettore su una materia ritenuta unanimemente ostica per gli stessi operatori del diritto si esamineranno sommariamente i punti salienti della vicenda passando attraverso: (i) L’evoluzione della norma; (ii) un aggiornamento sui contenziosi attualmente pendenti davanti l’autorità giudiziaria provando infine a comprendere (iii) il complesso rapporto che lega l’amministrazione ai concessionari e a sua volta i concessionari alla propria filiera in ordine alla corresponsione delle somme ritenute ancora dovute.

La norma e la sua parziale abrogazione.   Il meccanismo operativo di ripartizione di queste onere per nulla trascurabile non è stato dei più chiari né probabilmente dei più efficaci. Anzitutto la norma stabilisce che l’importo di 500 milioni venga versato in due rate (aprile e ottobre) esclusivamente dai concessionari. Il meccanismo di ripartizione dell’onere tra i concessionari è stato definito dalla norma solo “a monte” prendendo come riferimento gli apparecchi riferibili a ciascuno di essi alla data del 31.12.2014. In ordine ai criteri di ripartizione dell’onere tra ogni concessionario e la propria filiera la norma si limitava ad auspicare che gli operatori trovassero da soli nell’ambito di una rinegoziazione dei compensi i criteri di suddivisione. La mancata rinegoziazione sortirebbe secondo la norma un duplice effetto ossia la segnalazione all’amministrazione dell’operatore che non ha effettuato il versamento e l’inversione dei flussi finanziari. In pratica, fino al perfezionamento della rinegoziazione, tutte le somme residue presenti negli apparecchi secondo il legislatore avrebbero dovuto essere rimesse direttamente al concessionario. Si tratta di una modalità operativa che su base teorica avrebbe dovuto convincere anche il più recalcitrante operatore a trattare la rinegoziazione con il concessionario ma che invece sul piano operativo ha sortito un discutibile risultato non solo in termini di gettito ma anche di conflittualità tra operatori.

Il legislatore ha preso consapevolezza durante l’anno di vigenza della norma della lacunosità dei meccanismi operativi di ripartizione dell’onere e con la Legge di Stabilità 2016 (art. 1 comma 921 L. 208/2015) ed ha abrogato a partire dal 1° gennaio 2016 l’obbligo di pagamento dei 500 milioni.  Tuttavia l’obbligo di pagamento resta valido per l’anno 2015 e a tal proposito è stata approvata una norma di interpretazione autentica testualmente la riduzione su base annua, si applica a ciascun operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali, tenuto conto della loro durata nell’anno 2015.

In ambito governativo si auspicava che l’interpretazione autentica della norma avrebbe definitivamente sopito i conflitti insorti tra gli operatori della filiera e indotto la filiera a versare quanto ancora dovuto ma, al contrario, l’ammontare incassato a titolo di riduzione dei compensi non si è incrementato mentre il grado di conflittualità tra gli operatori ha conosciuto una escalation senza pari.

I contenziosi originati dalla norma. L’entrata in vigore della norma e la successiva pubblicazione del decreto direttoriale di ADM di ricognizione degli apparecchi al 31.12.2014 e di ripartizione tra i concessionari e le rispettive filiere hanno originato contenziosi in sede amministrativa e civile.

Tutti gli operatori e le rispettive sigle associative hanno contestato davanti il Tar del Lazio la norma e i relativi provvedimenti attuativi ricevendo in ben due diverse occasioni il rigetto della domanda cautelare proposta. A parere dei giudici amministrativi non appare compiutamente dimostrato che, ottemperando tutti i soggetti della filiera a quanto disposto dal provvedimento impugnato e dall’art. 1, comma 649 l. n. 190/2014, sussista un pregiudizio irreparabile nelle more della decisione del merito del ricorso, con ciò avvalorando la tesi che l’onere derivante dal prelievo forzoso introdotto dalla legge 190/2014 incombesse su tutta la filiera di ciascun concessionario.  

Il Consiglio di Stato ha ribadito questa considerazione confermando che la prescrizione di legge fa ricadere il prelievo sulla intera filiera, non avendo attribuito ai concessionari alcun potere per ottenere da gestori ed esercenti le somme dovute e, per altro verso, essendo rimasta l’Amministrazione inerte sotto tale profilo. I giudici amministrativi di secondo grado hanno però aggiunto che dal momento che gli operatori della filiera sono tenuti a consegnare ai concessionari garanzie per un ammontare non inferiore a 1500 euro per apparecchio i concessionari possono escutere tali garanzie al fine di coprire l’intero importo delle due rate.

Anche i giudici civili sono stati impegnati nei contenziosi attivati dagli operatori della filiera. In particolare, singoli gestori hanno promosso azioni ex art. 700 c.p.c. finalizzate ad inibire le richieste di pagamento avanzate dai concessionari. Tali contenziosi attivati su tutto il territorio nazionale hanno conosciuto inizialmente pronunzie di carattere diverso e contrapposto mentre successivamente hanno visto il prevalere di pronunzie di rigetto delle domande cautelari principalmente per l’assenza dell’elemento del periculum in mora.

Pende invece davanti al Tribunale di Roma un procedimento azionato appena prima l’approvazione della Legge di Stabilità 2016 da 480 gestori aderenti a Sapar nei confronti dei tredici concessionari e di ADM finalizzato a dichiarare che essi non sono tenuti a compartecipare al “versamento aggiuntivo” previsto dall’art. 1, comma 649, legge n. 190 del 2014 nella misura pretesa dai concessionari e a dichiarare che le condotte dei concessionari integrano, alternativamente o cumulativamente, intesa anticoncorrenziale, abuso di posizione dominante collettiva, abuso di dipendenza economica, nonché abuso del diritto, e per l’effetto, inibire ai concessionari la prosecuzione di tali condotte. A seguito della comparizione delle parti e la formulazione di eccezioni preliminare il giudice ha riservato la decisione.

Il rinvio alla Corte Costituzionale e gli scenari futuri. Nell’ambito del giudizio instaurato davanti il Tar del Lazio, il   il 21.10.2015, con tante ordinanze quanti erano i giudizi proposti nell’ambito dei quali era stata sollevata questione di legittimità costituzionale del comma 649, il TAR del Lazio sollevava la questione, senza però disporre la sospensione degli effetti del provvedimento impugnato.

Quindi, a rigore, la norma è ancora valida ed efficace, vige l’obbligo degli operatori di versare gli importi a titolo di riduzione dei compensi e valgono a tutti gli effetti i rimedi pseudo- sanzionatori previsti dalla norma (segnalazione ad ADM e inversione dei flussi).

Alla data di redazione del presente articolo risulta che il Tar del Lazio non abbia ancora trasmesso gli atti alla Consulta con un inevitabile allungamento dei tempi per ottenere una decisione.

La pronuncia della Corte Costituzionale può prefigurare tre scenari diversi: 1) la Corte dichiara la questione manifestamente infondata. In questo caso, nulla cambia rispetto alla situazione attuale e quindi la norma resta valida ed efficace e gli importi restano ancora dovuti da parte della filiera. 2) la Corte dichiara la norma incostituzionale e quindi elimina il comma 649 dall’ordinamento giuridico sin dalla data di entrata in vigore della norma. In questo caso la riduzione dei compensi di 500 milioni non era dovuta sin dall’origine dagli operatori che hanno il diritto alla restituzione in caso abbiano spontaneamente versato gli importi richiesti. 3) La Corte dichiara la norma incostituzionale ma solo a partire della pubblicazione della sentenza. Non si tratta di un caso meramente teorico in quanto la Corte ha già adottato analoga decisione nell’ambito del giudizio sulla costituzionalità della c.d. Robin Tax (addizionale IRES su extraprofitti delle imprese energetiche e petrolifere) ritenendo comunque superiore l’equilibrio del bilancio dello Stato rispetto al diritto alla restituzione delle società private di 6 anni di extragettito (si consideri che ammontava a circa 1,3 miliardi di euro la tassa versata dagli operatori solo per l’anno 2014). In questo caso coloro che hanno versato non hanno diritto alla restituzione mentre gli operatori che non hanno versato restano obbligati a farlo.

Le mosse di ADM e dei concessionari. Nell’ambito di una vicenda dalle dimensioni e dalle implicazioni così complesse ADM sta tentando di gestire il recupero delle somme nella piena consapevolezza che la normativa è ancora lacunosa e non contempla chiari rimedi di carattere sanzionatorio per i soggetti inadempimenti come la cancellazione dall’elenco RIES. D’altra parte, non vi sono rimedi esperibili dall’amministrazione direttamente nei confronti dei concessionari in quanto la norma non assegna loro una responsabilità solidale con la rispettiva filiera ma il mero incarico di collettore delle somme per conto di ADM. Accanto alle previsioni di carattere sanzionatorio previste dalla norma ossia la segnalazione ad ADM e l’inversione dei flussi ritenuti unanimemente ritenute inefficaci o addirittura controproducenti per il settore va detto che il Consiglio di Stato ha suggerito un terzo strumento per incoraggiare il versamento dai soggetti inadempimenti che consiste nella escussione delle garanzie prestate ai concessionari. Si tratta di una lettura forse un po’ troppo sbrigativa da parte dei giudici amministrativi in quanto la garanzia prestata in virtù di un espresso obbligo convenzionale copre solo il rischio di inadempimento del Preu mentre l’onere introdotto con la Legge di Stabilità 2015 non è neanche configurata come un tributo per stessa ammissione dell’amministrazione.

ADM ha comunque chiesto ai concessionari di intraprendere tutte le azioni di recupero delle somme ancora dovute dalla filiera e di essere aggiornata in ordine ai soggetti che si sono resi ancora inadempimenti.

I concessionari hanno quindi inviato a tutti gli operatori della filiera le lettere di messa in mora in cui viene calcolato l’importo ancora dovuto minacciando l’attivazione di azioni legale per il recupero forzoso.

A mio avviso, la norma di interpretazione autentica, per quanto abbia ancora dei limiti testuali, ha il merito di chiarire agli operatori le modalità di suddivisione dell’onere stabilendo che esso va distribuito tra gli operatori in misura proporzionale alla partecipazione alla distribuzione del compenso.  Al netto delle strumentalizzazioni, il legislatore ha deciso che il criterio guida è la “distribuzione del compenso pattuito contrattualmente” e non la redditività del singolo apparecchio.

Gli operatori quindi sono davanti ad un (ennesimo) bivio.

La prima strada è quella di versare quanto dovuto in base ad un criterio che, per quanto sgradito, ha il merito di essere agevolmente ricostruito contrattualmente, di pretendere il pagamento degli importi dovuti per effetto di detto criterio da parte dei propri incaricati, di segnalare ai concessionari coloro i quali hanno deciso di non adempiere e di sperare in una favorevole pronuncia della Corte Costituzionale che potrebbe consentire di ripetere le somme versate.

L’alternativa è quella di restare in una posizione di attesa che li vede però esposti ad una serie di azioni di ADM e dei concessionari il cui esito singolo e le cui tempistiche sono ad oggi difficile da prevedere.

[articolo pubblicato su Jamma.it]